Col passare degli anni, presumibilmente già nella seconda metà del XVIII secolo, non è da escludere che per effetto delle idee “illuminate” di derivazione francese ed una maggiore attenzione nel prevenire ed eliminare fonti di infezione , le inumazioni non furono più effettuate utilizzando fosse comuni ma in sepolture individuali.
Le singole sepolture furono disposte in file parallele alla chiesa con i piedi rivolti a oriente, com’era un tempo prassi consolidata anche per le sepolture in fosse comuni. Al termine del periodo di mineralizzazione dei cadaveri i resti ossei erano posti in nicchie, distinte per sesso, situate sotto il pavimento della chiesa, all’incirca tra l’attuale abside e le arcate di fondo della navata di centro. Negli anni 50 dello scorso secolo, durante i lavori di consolidamento e restauro dei saloni dell’antico palazzo del Monte Frumentario, attuale sede della Confraternita del Rosario, vennero alla luce numerosi resti ossei, perfettamente conservati in piccoli colombari.
Questo ritrovamento fa pensare che, per ragioni di spazio, anche i sotterranei del Frumentario furono adibiti come luogo di sepoltura o quantomeno come sistemazione definitiva dei resti provenienti dal cimitero parrocchiale.
Il cimitero fino a circa la meta’ del XIX secolo, in special modo nelle piccole realtà rurali , si presentava soprattutto come un istituto religioso, un accessorio della chiesa, gestito dai religiosi e come tale reputato cosa sacra. Soggetto quasi sempre alla giurisdizione ecclesiastica la quale, osando e abusando l’esclusiva autorità in questa materia, introdusse nel corso degli anni un gran numero di eccezioni legate alla sepoltura nei cimiteri.
La Chiesa, attraverso i suoi canoni ed i suoi ministri, detto’ precise norme sia per quanto riguardava la liturgia esequiale che per i seppellimenti; di fatto molti ceti di persone ,colpiti dalle sue censure, vennero man mano dichiarati incapaci d’essere sepolti nel cimitero quale luogo sacro.
Cosi’ furono anzitutto esclusi dai cimiteri: i non battezzati, i pagani, i neonati di cattolici morti senza battesimo ( norma quasi sempre disattesa ), gli eretici e loro fautori, gli scomunicati, i bestemmiatori, i suicidi, i ladri e violatori di chiese, gli usurai e cosi’ via.
Questa posizione discriminatoria, in molti casi, generò forti contrasti tra sindaco e parroco, che si trovavano difronte nella quotidiana gestione delle comunità locali dell’epoca, contribuendo in tal modo a dare un impulso decisivo a quel processo di laicizzazione cimiteriale che troverà il suo compimento negli anni successivi all’Unità d’Italia. Il rigore della Chiesa in questa particolare materia, col passare del tempo, venne superato da normative e disposizioni regolamentari emesse da una società civile sempre più laica. Una nuova società nascente la quale, con molte difficoltà, a rilento, cercava di istituire le sue regole, anche per effetto di quella spinta riformista francese che investì la penisola italiana e che , come principio fondamentale, aveva definito il modello di base per una decisa separazione tra società civile e società religiosa .
La Rivoluzione francese, occorre appena ricordarlo, pose le premesse di un rapporto nuovo tra Chiesa e Stato. Citando lo storico Salvatorelli L. « Essa condusse per la prima volta, sulla storia dell’Europa cristiana, alla laicizzazione completa dello stato e della vita pubblica [….] Dalla Rivoluzione in poi l’umanità si è abituata a vivere la sua vita sociale e politica senza farvi intervenire la Chiesa ,senza far ricorso ai suoi poteri trascendenti ». Man mano, nella coscienza collettiva, si comincio’ ad avere una maggiore sensibilità difronte al destino del proprio corpo dopo la morte, si desiderava sempre di più una sepoltura ispirata al concetto della dignità della persona,della memoria e del rispetto delle più elementari regole igieniche.
Nel Regno di Napoli la laicizzazione dei cimiteri ebbe un timido inizio nei primi anni del 1800. Ferdinando I delle Due Sicilie, seguendo gli esempi della precedente amministrazione murattiana , con la legge n.655 dell’11 marzo 1817, diede avvio a quel lungo e travagliato percorso che porto’ alla definitiva delocalizzazione dei cimiteri dalle chiese per affidarli alla diretta gestione delle autorità civili ( sindaco).
L’amministrazione comunale dell’epoca (decurionato) prese con molta calma l’adeguamento alla nuova normativa. L’inerzia amministrativa non fu certamente dovuta alla mancanza di rispetto di un ordine costituito o per manifestare dissenso alle nuove disposizione ma, semplicemente, perché le sepolture già avevano luogo in un’area esterna alla chiesa che, all’epoca dei fatti, era situata in una località alquanto lontana dai centri abitati ( Casali ).
Gli anni che vanno dal 1820 all’Unità d’Italia, per effetto di un consistente incremento demografico, costante e ininterrotto, videro le varie amministrazioni comunali, che si alternarono alla guida della comunità di Apollosa, impegnate nell’individuazione di un luogo adatto alla costruzione del nuovo cimitero .
Per la realizzazione della nuova struttura cimiteriale si penso’ a vari siti comunali ubicati nelle località Macchi, Pantanielli e Cupa Morante. Intorno al 1866 la localizzazione definitiva del cimitero, dopo ampie discussioni e aspre polemiche, venne individuata in località San Vito, dove si trova attualmente; la scelta cadde su un’area agricola , di proprietà del sig. Pietro Guadagno, estesa circa 1600 mq.
L’anno 1871 il sindaco Alessandro Varricchio diede avvio ai lavori di costruzione del cimitero .
Il campo di inumazione venne impiantato nella suddetta area, dopo essere stato recintato con un muro perimetrale alto circa un metro e mezzo, con ingresso diretto da via san Vito [attualmente non più esistente].
I lavori per la costruzione dei muri perimetrali e le opere di livellamento del terreno durarono circa 3 anni e nei successivi 6, dalla fine dei lavori, sembra che non sia stato utilizzato per inumazioni in quanto gli apollosani continuarono a preferire il cimitero parrocchiale.
I danni causati alla Parrocchia dal terremoto del 17 settembre 1885, la necessita’ di ampliare la chiesa Arcipretale e l’ultimazione dei lavori del civico cimitero in contrada San Vito, diedero l’impulso decisivo per il definitivo avvio dei lavori per la costruzione della navata di destra della chiesa Arcipretale, sempre rimandati per ragioni economiche.
I lavori di ristrutturazione interessarono anche la torre campanaria, mediante l’eliminazione della copertura a embrici, causa di frequenti infortuni nelle giornate di tempesta.
L’ingrandimento della chiesa assorbì quasi per intero l’area cimiteriale.
Del campo di inumazione parrocchiale, in uso fino al 1885, oggi non rimane niente ad eccezione di una bandiera crociata in ferro battuto. Rimossa dall’obelisco, sulla quale era collocata nella parte centrale dell’antico cimitero, durante i lavori di ristrutturazione, fu sistemata nel punto piu’ alto della chiesa Arcipretale, dove si trova tuttora.
Così, per forza di cose, negli anni 1885 – 88, anche se in una struttura incompleta [ mancava la chiesa cimiteriale ] ebbero luogo le prime inumazioni nel cimitero di contrada san Vito.